Droga: è ancora tempo di proibizionismo?

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Da quarant’anni almeno i radicali propongono che alla droga libera, che si trova dappertutto, all’angolo della strada, nelle scuole o in carcere, si sostituisca una serie di misure per regolamentarne per legge la presenza nella società. Piuttosto che fare la guerra alle piante come la canapa indiana, la foglia di coca o il papavero e ai prodotti raffinati stupefacenti, occorre affrontare il fenomeno non come un problema di ordine pubblico, bensì come un problema di salute per coloro che ne fanno un uso problematico.

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   L’antiproibizionismo radicale non è una posizione esibita in campagna elettorale per sedurre gli elettori più giovani, bensì una lotta politica che, in virtù della convinzione che una legge ingiusta e liberticida debba essere disobbedita, è stata portata avanti per due decenni con referendum abrogativi, proposte di legge di iniziativa popolare, iniziative nonviolente, disobbedienze civili e mobilitazioni internazionali per una riforma delle tre Convenzioni ONU in materia di stupefacenti.

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   Negli ultimi vent’anni, per esempio, una quarantina tra dirigenti e militanti radicali si sono fatti processare per aver distribuito gratuitamente hashish sulla pubblica piazza, 13 di loro, tra i quali Marco Pannella, Rita Bernardini e Sergio Stanzani, a causa di ciò, non possono essere candidati a elezioni regionali, comunali, provinciali; alcune sentenze di assoluzioni hanno fatto giurisprudenza e sono servite a non far finire in galera giovani colpevoli solamente di essere consumatori di sostanze oggi illegali ma certo non più dannose di alcol e tabacco liberamente acquistabili.

   Nell’autunno 2005, Emma Bonino, di rientro dall’Afghanistan dove ha guidato la missione di monitoraggio elettorale dell’Unione Europea, propone al Parlamento Europeo e i 27 stati membri dell’UE di rivedere la loro politica fallimentare di eradicazione dell’oppio afgano. Questa raccomandazione, adottata a maggioranza dal PE, viene poi fatta propria per ben due volte dal governo Prodi, grazie all’iniziativa di Sergio D’Elia, deputato della Rosa nel Pugno, con delibere formali della Camera. Nell’ottobre del 2007 il PR adotta un rapporto preparato dall’eurodeputato radicale Marco Cappato. Che chiede la possibilità di utilizzare il papavero afgano per farne medicine per la cura del dolore per i paesi poveri.

    “Un discorso organico sulla droga”, ci ricordava un nostro compagno che non c’è più, Giancarlo Arnao, tra i massimi esperti in materia, “non può prescindere da una discussione sul “proibizionismo”, cioè sull’apparato legale repressivo di controllo dell’uso di droghe, ispirato e condizionato dalla “Convenzione unica del 1961”, sottoscritta da tutti i paesi aderenti all’ONU”.

   Fondamentalmente il “proibizionismo” nato con tre obiettivi fondamentali (la tutela sociale, sanitaria e quella della prevenzione sull’uso-abuso di droghe), non solo ha avuto una riuscita e un esito assolutamente insoddisfacente, ma ha creato una serie di “meccanismi perversi” che hanno ulteriormente aggravato le situazioni che si proponeva di correggere.

   Infatti, sul piano della tutela sanitaria, il “proibizionismo” ha aggravato:

1) la salute dei tossicodipendenti, privilegiando la presenza sul mercato delle sostanze più tossiche rispetto a quelle meno tossiche;

2) ha privilegiato le somministrazioni più pericolose a quelle meno pericolose perché le prime permettono una minore spesa;

3) ha creato un mercato “nero” in cui la sostanza non dà alcuna garanzia di qualità e questo determina i maggiori rischi di morte per il consumatore;

4) ha costretto i tossicodipendenti a modi di vita precari per l’alto prezzo delle sostanze offerte dal mercato nero, con conseguenze gravi per la loro salute.

    Inoltre, osservava Arnao, il proibizionismo ha aperto le porte alla nascita e allo sviluppo delle più estese e potenti organizzazioni criminali della nostra epoca attorno al traffico di droga: “L’infiltrazione del grande business sulla droga nelle istituzioni di molti paesi è ampiamente l’elemento decisivo della sua inattaccabilità dalla repressione giudiziaria. E’ evidente invece che il proibizionismo mantiene una sua funzionalità sul piano della repressione diretta ed unilaterale. D’altra parte  l’efficacia del messaggio deterrente si è progressivamente annullata, dando luogo a effetti opposti a quelli che si prefiggeva: infatti è aumentato rapidamente l’uso di massa delle sostanze proibite.

   Il proibizionismo nasce nel 1914 negli Stati Uniti, e rapidamente viene adottato da altri paesi e per altre sostanze. Salvo poche eccezioni, si può dire l’uso di droghe sia aumentato in tutti i paesi.

   Come è stato possibile che un apparato di controllo creato per stroncare un’attività illegale abbia invece coagulato attorno a tale attività una gigantesca struttura organizzata? È avvenuto quello che si può definire il “paradosso della repressione marginale”: un meccanismo perverso il cui dato di partenza consiste nel fatto che la repressione non riesce a incidere sul traffico che in una misura marginale (gli esperti calcolano che non si superi i 15 per cento). La “marginalità” della repressione è chiaramente insufficiente come strumento di dissuasione per i livelli più alti della organizzazione del traffico; è però sufficiente per concretare per i livelli “bassi” e “medi” della distribuzione un margine di “rischio”, che si traduce in un altissimo margine di profitto. La combinazione di questi due fattori (margine di rischio + margine di profitto) privilegia la criminalità organizzata rispetto a quella “spicciola”; potenzia le grandi organizzazioni; permette profitti così elevati da consentire collusioni e complicità istituzionali. Le infiltrazioni del grande business della droga nelle istituzioni di molti paesi è ampiamente documentata, e costituisce l’elemento decisivo della loro inattaccabilità dalla repressione. Si perpetuano così i presupposti per cui la repressione è destinata a rimanere marginale.

   È ormai un unanime dato acquisito che il traffico della droga sia un’arma puntata contro l’intero pianeta. Lo sostengono i documenti ufficiali di singoli governi, le indagini della Comunità europea, le relazioni dei servizi segreti statunitensi, i rapporti dell’organo di controllo sugli stupefacenti delle Nazioni Unite. A fronte di questa mole di documenti e autorevoli studi, si assiste alla tetragona politica dei governi, che non hanno il coraggio di modificare la politica di repressione penale del consumo e del commercio delle droghe adottata col massimo del rigore a partire dal 1961, anno della convenzione ONU di New York, e anzi, spesso le inaspriscono. Ammettere il fallimento del proibizionismo significherebbe per molti riconoscere un errore quasi trentennale; continuare nella politica di proibizione giustifica il passato e consente al tempo stesso di conservare gli eccezionali privilegi economici e di status che le organizzazioni sovranazionali e i singoli Stati assegnano ai professionisti dell’antidroga. È l’ONU stessa ad affermare con cruda chiarezza che “l’uso delle droghe illegali, tanto naturali che sintetiche, ha conosciuto una crescita così rapida negli ultimi vent’anni che minaccia oggi tutti i paesi e tutti gli strati sociali. La produzione e fabbricazione clandestina di droghe tocca un numero crescente di paesi. Attività, che raggiungono proporzioni allarmanti, sono finanziate e dirette da organizzazioni criminali che hanno ramificazioni internazionali e beneficiano di complicità nel sistema finanziario. Avendo a disposizione fondi pressoché illimitati, i trafficanti corrompono i funzionari, diffondono la violenza e il terrorismo, influenzano l’applicazione delle convenzioni internazionali per la lotta contro la droga ed esercitano nei fatti un vero e proprio potere politico ed economico in molte regioni del mondo”.

   Una situazione che non è esagerato definire come Narcocrazia. Sono le quotidiane cronache a documentare come gli enormi capitali che la criminalità organizzata ricava dall’industria della droga sono diventati la principale fonte di violenza, corruzione e degrado sociale; al tempo stesso costituiscono un gravissimo ostacolo allo sviluppo delle potenzialità delle zone più povere del mondo e di quelle situate all’interno dei paesi industrializzati. Una somma oscillante fra i 500 e gli 800 miliardi di dollari si riversa ogni anno nelle casse delle organizzazioni mafiose internazionali. Il denaro della droga invade gli istituti della società civile, le banche,la Borsa, le attività economiche legali ed illegali, si trasforma in corruzione, ricatto, violenza armata nei confronti delle istituzioni giudiziarie e politiche.

   Un circolo vizioso: il denaro della droga alimenta la criminalità, la criminalità alimenta il mercato della droga. Il numero di tossicodipendenti aumenta di anno in anno, perché ogni nuovo arrivato è costretto, per pagarsi la dose quotidiana, a diventare immediatamente il commesso viaggiatore dell’eroina. Oppure a rubare, uccidere, prostituirsi. Ogni anno sono milioni nel mondo le vittime di una violenza insensata, che non appartiene alla natura né della droga né dei drogati, ma ad una necessità imperiosa di denaro, provocata da una legge folle e disumana. Denaro che finisce con l’arricchire e rendere sempre più invincibile lo stesso nemico che la proibizione vorrebbe debellare e la cui potenza invece non riesce neppure a scalfire: ogni anno viene bloccato e sequestrato appena il 5-10% delle droghe in circolazione.

   La legalizzazione della produzione, commercio e vendita delle droghe oggi proibite e la loro equiparazione a “droghe” già legalizzate – almeno in molti paesi – come l’alcool (dal vino ai superalcolici) e il tabacco, comporterà che il loro prezzo diminuirà del 99 per cento; le mafie internazionali subiranno una sconfitta che neppure la coalizione di tutti gli eserciti è oggi in grado di imporre; le organizzazioni criminali perderebbero così una fonte essenziale di ricchezza, causa e principio della loro invincibilità. La legalizzazione cancellerebbe la stessa ragion d’essere di milioni di atti di violenza compiuti ai danni di persone per lo più deboli e indifese. Al tempo stesso libererebbe forze dell’ordine e magistratura dal peso di questi reati dando automaticamente ad esse efficienza e capacità di intervento a tutela della sicurezza della cittadinanza. Renderebbe disponibili denaro, risorse e mezzi per campagne di dissuasione e per il recupero dei tossicomani oggi investite in inutili caccia all’uomo.

     Il proibizionismo aiuta le mafie

  Nel quotidiano turbinio di Notizie Web, televisive e giornalistiche è passato, quasi in silenzio, “Il Rapporto War on Drugs, pubblicato dalla Global Commission on Drug Policy; mi permetto di aggiungere che si tratta di una voce assai autorevole, essendo, essa, pronunciata da una Commissione Indipendente, voluta dalle Nazioni Unite (ONU) per esaminare nel dettaglio ed, eventualmente, rielaborare la politica globale sulla droga. Allora, nel silenzio quasi assoluto di notizie che riguardano questo specifico argomento, vediamo di leggere la parte iniziale di questo rapporto:

-LA GUERRA ALLEDROGHE E’ FALLITA

– HA AVUTO CONSEGUENZE DEVASTANTI PER PERSONE E SOCIETA’ IN TUTTO IL MONDO

– C’E’ BISOGNO URGENTE DI UN CAMBIAMENTO RADICALE NELLA POLITICA DI CONTROLLO DELLE SOSTANZE STUPEFACENTI.

   Si tratta di affermazioni drastiche che sconfinano nella drammaticità, ma che,  purtroppo, vengono avvalorate dalla lettura dei dati, riportati nel Rapporto stesso. Pietro Greco, in un suo pregevole servizio giornalistico (datato 20 giungo 2011), ha sintetizzato il tutto in queste parole: “50 anni dopola Convenzionedell’Onu sulle sostanze stupefacenti e 40 anni dopo che Richard Nixon ha dichiarato la «guerra alla droga», il risultato è che le so­stanze stupefacenti sono più diffuse che mai: dal 1998 al 2008 i consuma tori di oppiacei nel mondo sono pas sati da12,9 a17,4 milioni con un incremento del 34,5 per cento; i consumatori di cocaina sono passati da13,4 a17 milioni con una crescita percentuale del 27 per cento; i consumatori di cannabis, infine, sono passati da147,4 a160 milioni con un incremento dell’ 8,5 per cento.”

   Ma dall’esame del “Rapporto  War on Drugs emergono ulteriori elementi, che vengono ad aggiungersi ad altre precedenti comunicazioni (con relativi commenti); ecco in estrema sintesi, la reale situazione attualmente esistente in questo settore a livello planetario:

   1) Le mafie mondiali sono più ricche e potenti che mai. Malgrado non siano mancati successi, per così dire, militari e numerose bande di trafficanti siano state sgominate, le Organizzazioni Malavitose che, a livello mondiale, gestiscono il Mercato della Droga, si sono dimostrate invincibili e simili ad idre dalle cento teste: se ne toglie una e, subito dopo, ne spunta un’altra.

   2) Le scelte politico-economiche perseguite, sino ad ora, dall’ONU per liberare i contadini dell’Afghanistan dalla schiavitù dell’oppio, incentivando altre produzioni agricole, non hanno dato i risultati sperati, per la semplice ragione che, ad un contadino afghano, la rendita finanziaria, derivata dalla coltivazione dell’Oppio (anche se modestissima, se noi la rapportiamo agli ampi guadagni di tutti gli altri componenti della vasta filiera di addetti allo spaccio) è, tuttavia, superiore di almeno dieci volte rispetto a quella riferita ad altre produzioni agricole, anche se fondamentali per l’alimentazione umana.

    Analogo discorso può essere fatto, per quanto concernela Colombia; già nel 2008, la situazione era stata descritta dal quotidiano “The Indipendent”: “…Gli interessi del narcotraffico si inseriscono nel quadro di una situazione politica precaria, intrecciandosi a quelli dei guerriglieri rivoluzionari della FARC e dei paramilitari delle AUC. I fiumi di denaro che scaturiscono dal mercato della droga rappresentano l’elemento fondamentale che alimenta un conflitto sanguinoso di fronte al quale il governo si rivela impotente: ogni anno, circa 3.000 colombiani perdono la vita in agguati ed attentati terroristici. E’ un bilancio da guerra civile, cui si aggiungono i tre milioni di rifugiati: uomini, donne, bambini costretti ad abbandonare  le loro case, comunità rurali e tribù locali, schiacciate dalla violenza dei trafficanti. La lotta per l’influenza politica e per il controllo del territorio è spietata e fa largo uso dello strumento dei sequestri. Ma, è una guerra che miete vittime anche con le mine, piazzate da Narcos e guerriglieri a protezione delle coltivazioni di coca; dal 1990, quasi 500.000 persone sono state uccise o mutilate dall’ esplosione di questi ordigni. Spietati e scaltri, i Narcos, per salvare la loro fonte di guadagno, invadono le riserve protette per deforestarle e convertirle in piantagioni di coca. E’ uno sfregio ambientale, che si aggiunge alla tragedia umanitaria, in uno scenario di crisi endemica che, ormai, non fa più notizia: mentre in Europa ed in America si consuma, sempre di più, coca, la verde Colombia è in ginocchio.”

    È necessario dunque cambiare  strategia e prendere atto dei fallimenti raggiunti dall’attuale strategia, rigorosamente proibizionista, sostenuta dal Governo Italiano; abbiamo sempre sentito parlare di linea dura e tolleranza zero nei confronti di chi fa uso di droghe (anche leggere). Quali sono stati  i risultati, assolutamente negativi, sino ad ora raggiunti? Eccoli:

  – Ulteriore diffusione, su tutto il territorio nazionale del fenomeno droga, inteso non soltanto come aumento del numero dei consumatori, ma, soprattutto, del numero degli spacciatori; i quali, con il trascorrere del tempo, hanno modificato, addirittura le loro caratteristiche tipologiche, nel senso che non si tratta più di soggetti in età minorile o di poveracci, rivestiti con abiti dimessi, ma di soggetti di alto rango, in giacca e cravatta, legati, per di più, ad altre attività illegali o, addirittura malavitose;

  – Di conseguenza, otteniamo un ulteriore aumento della criminalità, con il progressivo sorgere ed accentuarsi dei legami intercorrenti tra il mercato della droga ed il mercato dell’usura (sempre più diffuso) con il dilagante settore dell’edilizia residenziale e abitativa abusiva  e con il mercato dell’esportazione illegale dei capitali in banche extra-nazionali;

 – Massiccio, ma sopratutto, irrazionale impiego delle forze dell’ordine, che ha condotto  e condurrà sempre di più in avvenire, a causa dell’illogicità dell’attuale sistema repressivo, ad un aumento degli arresti e ad una diminuzione dei sequestri;

 – Straordinario sovraccarico operativo dei nostri tribunali, con evidente crisi della giustizia, che rischia di condurre alla paralisi l’intero Sistema Giudiziario; impegnato a discutere, prevalentemente, il reato di detenzione e consumo di droga;

 – Innaturale sovraffollamento delle carceri: pensiamo in proposito, che oltre un terzo dei detenuti italiani è imprigionato per spaccio o uso di sostanze stupefacenti;

 – Lo squilibrio finanziario, che l’intero mercato della droga arreca alle Casse del nostro Stato; noi tutti lo possiamo riassumere in questa complessiva tipologia di spesa (Poliziotti – Tribunali – Carceri) e possiamo facilmente immaginare quanto essa venga ad incidere sulla nostra fragile economia.

   Nasce da queste considerazioni, fatte proprie dalle Nazioni Unite, l’esigenza di percorrere strade nuove.

 Secondo le stime disponibili, 3 milioni di Italiani consumavano regolarmente sostanze stupefacenti, nel 2009, mentre mezzo milione erano “consumatori problematici”, ossia consumatori abituali di cocaina, oppiacei o amfetamine con una lunga storia di uso alle spalle. A queste stime si affianca la percezione di una forte diffusione del fenomeno fra i giovani, alla quale manca tuttavia spesso il fondamento di valutazioni quantitative affidabili. La stima della diffusione del consumo di droga è infatti resa difficile dalla difficoltà di definizione dei “confini” (ad esempio, fra uso e abuso), dal ricorso dei consumatori a differenti sostanze psicotrope, illegali e legali, dall’aumento del consumo senza prescrizione dei farmaci anche da parte di giovanissimi, spesso insieme all’alcol. Le carenze informative si riflettono nella difficoltà di disegnare modalità di intervento appropriate”.

   Il Dipartimento per le Politiche Antidroga con L’Università di Roma “Tor Vergata” nel2010 ha svolto un’indagine su un campione di circa 38mila studenti delle scuole secondarie: il 27% degli alunni dichiara di aver provato almeno una sostanza prima dell’intervista; il 22% negli ultimi dodici mesi, e il 14% negli ultimi trenta giorni. Un terzo di questi ultimi ha usato droghe prima dei 15 anni: cannabis sopratutto, ma anche tranquillanti e cocaina.

  Per quanto riguarda il mercato della droga, le stime del fatturato fino al 2009 oscillavano fra 6 e 11,4 miliardi di euro. Utilizzando congiuntamente dati amministrativi e risultati di indagini è possibile nel 2010 aggiornare la stima in circa 24 miliardi di euro. Gran parte dei profitti sono   incassati dagli operatori delle fasi intermedie fra la produzione e la vendita al dettaglio (coordinamento della produzione, traffico internazionale, grossisti nazionali); una quota rilevante è trattenuta dai grandi spacciatori e dalle organizzazioni criminali; una parte residuale va agli spacciatori al dettaglio “di strada”, che spesso sono anche consumatori problematici e non hanno sufficienti risorse economiche per soddisfare la loro dipendenza. Buona parte dei profitti è riciclata in attività legali producendo inquinamento e distorsione nell’economia legale.

Valter Vecellio

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